Le interviste di B&P: Dottor Leonardo Bagnoli, Amministratore delegato di Sammontana

Con il dottor Leonardo Bagnoli, Amministratore Delegato di Sammontana, diamo il via alle interviste del 2017.

Nato a Empoli nel 1973, laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Firenze, inizia nel 1999 la propria carriera presso la società di revisione Deloitte & Touche. Nel 2000 entra nell’azienda di famiglia fondata nel 1948 dal nonno Romeo e dallo zio Renzo: trascorre così’ un paio d’anni in prima linea (“Agli inizi scaricavo le scatole di gelato dai furgoni”) per capire in particolare le dinamiche proprie della filiera distributiva. Nel 2002 diviene responsabile di pianificazione e controllo, ruolo che lascia nel 2008 per ricoprire l’incarico di Amministrator Delegato di Gran Milano, azienda rilevata da Barilla Holding produttrice dei marchi Tre Marie e Sanson. Dal 2010 è Amministratore Delegato di Sammontana, società di assoluto rilievo nel mercato del gelato industriale e della croissanteria surgelata.

A Leonardo Bagnoli, a cui siamo legati da una profonda e consolidata stima, abbiamo chiesto se era interessato e disponibile ad essere intervistato: così è nata questa intervista, tra e-mail, telefonate e chiacchierate, seria nei contenuti ma gioiosa nella dinamica relazionale.

In questa intervista emergono innanzitutto la “stoffa” e lo stile di un imprenditore ancor giovane, impegnato nel consolidare il proprio percorso professionale ed il proprio ruolo all’interno della compagine familiare: intelligente umiltà, impegno, rispetto per gli altri, profondo legame con la storia dell’azienda, della famiglia e del territorio sono i suoi “compagni di viaggio”.

Il lettore potrà cogliere diversi spunti di riflessione, frutto delle esperienze maturate nel corso degli anni da Leonardo Bagnoli, quali ad esempio il concetto che in Sammontana “innovazione è tradizione” un simpatico gioco di parole che spiega il DNA dell’azienda e della famiglia; la consapevolezza che costruttivi e trasparenti rapporti interpersonali, uniti alle competenze professionali di ciascuno, consentono di raggiungere risultati insperati; il rispetto per il dialogo con le persone come “stile della casa”; l’impegno ad affrontare il nuovo con coraggio e senza la paura di sporcarsi le mani; l’ambizione a fare sempre meglio.

Leonardo Bagnoli è una persona di fondo molto curiosa, anche se sta sempre con i piedi per terra, ed è per questo che abbiamo voluto introdurre l’intervista con Il carnevale di Arlecchino, olio su tela composto tra il 1924 ed il 1925 da Juan Mirò, considerato uno dei capolavori del movimento surrealista. Gusto per la vivacità cromatica e senso del fantastico fanno sì che minuscole forme in un grande spazio vuoto creino un’atmosfera ideale per la libera immaginazione, senza che ciò comporti di allontanarsi troppo dall’ambiente reale, come ricordano ad esempio le figure di animali, la sfera che simboleggia la terra e il triangolo fuori dalla finestra che ricorda la Tour Eiffel.

“Il quadro deve essere fecondo – dichiarò Mirò – deve far nascere un mondo. Deve essere come delle scintille, deve sfavillare come quelle pietre che i nostri pastori Pirenei usano per accendere la pipa”.  Parole che, siamo certi, Leonardo Bagnoli farebbe sue.

Lasciamo ora spazio all’intervista.

“Alcune persone vedono un’impresa privata come una tigre da uccidere subito, altri invece come una mucca da mungere, pochissimi la vedono come è in realtà: un robusto cavallo che traina un carro molto pesante” (Winston Churchill). Secondo lei è una definizione datata oppure può essere ancora attuale? Se sì perché?

Winston Churchill la sapeva lunga! Le definizioni sono, per loro natura, metastoriche altrimenti cessano di essere tali e diventano descrizioni contestualizzate nel tempo o nello spazio. Quindi per me questa è una definizione valida ed attuale. La ragione è che spesso non ci si rende conto di quanta ricchezza porti un’azienda al territorio in cui è nata e si è sviluppata e soprattutto che il robusto cavallo che traina un carro molto pesante può svolgere questa attività solo se, quando nasce, viene curato come un neonato richiede. Ecco questa definizione, non tanto quella di Churchill, andrebbe spiegata bene: le aziende in fase iniziale – o come va di moda dire ora, in fase di start up – sono neonati da accudire non solo dai loro padri/imprenditori ma anche da tutti gli altri soggetti con cui hanno a che fare. E questo è ciò che manca di più. 

Sammontana è una storica azienda toscana di successo, familiare, legata al territorio: un gran bel nome del “Made in Italy”. Come pensa di coniugare tradizione con innovazione?

La nostra tradizione è quella di essere innovativi: abbiamo inventato il Barattolino, primo prodotto da asporto, che vendevamo nel bar come se i bar fossero degli antesignani dei supermercati; abbiamo inventato i croissant pronto forno, cioè un metodo produttivo che lievita le brioches in linea di produzione e le rende pronte ad essere messe in forno direttamente dal freezer; abbiamo portato in Italia per la prima volta gli stecchi gelato di grandi dimensioni con il marchio Stecco Ducale che poi è stato copiato da un nostro concorrente multinazionale e adesso il loro passa per essere l’archetipo di quei prodotti. Insomma l’innovazione è nella nostra tradizione per cui continuerà ad esserlo. 

Lei è Amministratore Delegato di Sammontana e siede nel consiglio di amministrazione assieme a suo padre e ad altri membri della famiglia. La sua è quindi una posizione certamente delicata e che richiede molto equilibrio. Lei è d’accordo con lo chef Davide Oldani che ricorda quanto sia importante valorizzare l’equilibrio dei contrasti, in cucina come nella vita? Come è possibile gestire questa “alchimia” in modo fecondo e costruttivo?

Davide è un amico e un grande chef quindi non può che avere ragione. Nella cucina i contrasti sono gestiti dal cuoco che decide autonomamente quanto mettere di ogni ingrediente. Il problema delle aziende familiari a volte è che ognuno vuole fare lo chef e questo non è possibile. E’ possibile, però, dividersi i compiti, avere uno chef per i dolci, uno per i secondi ed uno per i primi. Quando però gli chef sono tutti insieme devono decidere se fare un menù vegano o di carne altrimenti il ristorante non ha un indirizzo chiaro. Questo è il rischio maggiore per le aziende familiari, come pure per i ristoranti. Bisogna parlare chiaro, bisogna discutere, bisogna capirsi, bisogna pensare al bene dell’azienda e quindi della famiglia prima che al bene del singolo componente di essa. Ci sono fasi in cui tutto è chiaro, fasi in cui tutto è confuso ma che servono perché tutto in futuro ritorni chiaro. Ci sono fasi in cui prevale l’emotività e fasi in cui la ragione prende il sopravvento. La gestione dei rapporti interpersonali è emotivamente complessa e ti deve portare ad avere linguaggio ed approccio diversi anche solo in relazione al grado di parentela che hai col tuo interlocutore. Se parlassi con mio cugino allo stesso modo con cui mi rivolgo a mio padre commetterei un grave errore: la confidenza è diversa, la percezione che ognuno ha di me è diversa, la mia capacità di coinvolgimento nei confronti delle due persone è diversa, quindi bisogna modulare. Poi c’è la questione delle priorità: bisogna accettare compromessi su alcuni argomenti e scegliere bene su cosa invece essere più battaglieri.

In sintesi è difficile gestire un ristorante con più chef ma è possibile e quando ci si riesce è meglio di un locale con uno chef solo perché è più ricco di competenze diverse: “Arricchiamoci delle nostre reciproche differenze” ricordava Paul Valéry. 

L’azienda per crescere ed avere successo nel tempo deve necessariamente essere aperta al cambiamento. Su quali fronti lavorerebbe per assicurare un futuro di costante successo a Sammontana? Quali azioni metterebbe in campo utilizzerebbe?

Tutte le azioni necessarie. Potrebbe essere una risposta telegrafica ad una domanda tremendamente complicata, direi tutto e niente. Vorrei però dire una cosa che mi sta molto a cuore. Gli imprenditori hanno vari compiti all’interno di un’azienda, ma uno, a mio parere, è il più importante ed inderogabile: la gestione delle persone, considerate non tanto come portatori di competenze specifiche ma soprattutto come risorse preziose in grado di interagire con vari interlocutori all’ interno dell’azienda. Le competenze si trovano sul mercato del lavoro abbastanza facilmente ma la coesione della squadra no, quella va costruita giorno per giorno, scelta dopo scelta, azione dopo azione. Gruppi con una sommatoria di competenze molto forti possono non raggiungere risultati rilevanti perché le interazioni fra i componenti non funzionano bene. Viceversa gruppi apparentemente più deboli riescono a performare molto bene perché c’è quella componente emotiva fra di loro che riesce a spingerli oltre i loro limiti. Questa è la sfida più importante dell’imprenditore: scegliere persone competenti ed integrarle perfettamente con gli altri, proprio come facciamo nella compagine familiare. Questo lavoro di integrazione non si esaurisce solo nel creare sintonia fra di loro ma anche e soprattutto nel trasferire loro quello stile, quelle abitudini aziendali in termini di comportamenti e forma mentis che permetterà loro di parlare a terzi usando le stesse parole che io o mio padre useremmo. Ecco, quando i nostri collaboratori fanno questo sono parte di “Noi Sammontana”.

Lei è nato, è vissuto e vive ad Empoli ed è entrato in azienda dopo essersi laureato in Economia: la sua storia conferma indiscutibilmente il profondo legame con il territorio e con le persone che lavorano in Sammontana. Questa situazione da un lato non sempre agevola la dinamica delle relazioni interpersonali (l’effetto…pantaloni corti), dall’altro però può offrire un patrimonio di rapporti umani spesso di straordinaria ricchezza. Al riguardo, che esperienze ha avuto? Ricorda episodi di particolare rilievo o a cui è particolarmente affezionato? Cosa consiglierebbe a coloro che possono trovarsi in situazioni come quella che lei ha vissuto?

Io non credo nella standardizzazione delle soluzioni. Quindi dare consigli è molto rischioso. Il consiglio migliore è valutare con molta attenzione tutti i fattori, tutti i dati oggettivi ma anche quelli soggettivi, conoscere le persone chiave personalmente ed a volte le persone chiave non sono in cima alla scala gerarchica. Io credo nella gestione dell’individuo come persona, che porta un bagaglio sia tecnico che morale e come tale va gestito e rispettato. Conoscere l’azienda non significa conoscere solo i processi. Vanno conosciuti gli attori di quei processi in modo approfondito. Ognuno però deve trovare la propria strada emotiva per creare solidi rapporti con essi e le questioni emotive non hanno ricette. Quando, in seguito all’acquisizione che abbiamo fatto nel 2008, sono andato in una fabbrica appena acquisita, mi sono messo a vedere i prodotti che uscivano da una linea di produzione accanto ad un operaio e dopo un po’ gli ho rivolto delle domande. Per me era una cosa normale, ad Empoli lo faccio ogni giorno e le risposte sono sempre utili per migliorare qualcosa. Quell’operaio, però, non era abituato, era visibilmente nervoso ed emozionato e non sapeva cosa rispondere perché temeva di fare un torto al suo capo. Ecco, la facilità di comunicazione fra tutti i livelli aziendali è una prerogativa della mia famiglia e della mia azienda ed è un qualcosa di molto proficuo.

Come definirebbe il suo stile di leadership? Guardando al futuro che tipo di imprenditore vorrebbe essere? Cosa potrebbe preoccuparla o addirittura farle paura?

Io aspiro ad essere un coordinatore di idee e cervelli. Una caratteristica che contraddistingue la mia vita lavorativa, e non so se si possa definire un pregio, è quella di essere una via di mezzo tra un manager ed un imprenditore. Ho vissuto anni in cui ero inserito nella struttura come funzionario commerciale prima e poi come capo della Pianificazione e controllo. Questi “mestieri” mi sono rimasti addosso ma l’interesse per l’aspetto emotivo della vita aziendale è, come ho già detto, la prerogativa più imprenditoriale che mi porto in animo. Un leader dovrebbe essere autorevole e non autoritario ma questa è una frase fatta. Non so se sono autorevole ma sicuramente non sono autoritario. Il dialogo fra persone pensanti è molto meglio del dialogo fra capo e collaboratore. La decisione è spesso conseguenza logica del dialogo e scaturisce molto raramente da una scelta arbitraria. Potremmo dire che bisogna essere capaci di incanalare il pensiero logico dei collaboratori all’interno della strategia aziendale. Ho risposto allo domanda sullo stile di leadership? Forse.

Ambisco a rendere mio figlio orgoglioso di suo padre portando valore contemporaneamente alla famiglia, all’azienda, ai collaboratori ed al territorio, quest’ultimo inteso sia come nostro luogo di origine sia come pianeta terra che va rispettato e non inquinato. E’ troppo? Bisogna essere ambiziosi!

Cosa mi preoccupa? Di fallire, di non fare abbastanza, di non essere all’altezza di questo sogno. Questo dubbio, però, è catalizzatore e deve aiutare a dare di più. Potremmo riformulare la frase di sant’Agostino Dubito ergo sum e quella di Cartesio Cogito ergo sum in una nuova chiave volta all’emulazione di se stessi che potrebbe suonare così: Dubito ergo proficio.

Se dovesse raccontare di sé a suo figlio attraverso un libro cosa sceglierebbe?

Mio figlio Ludovico ha otto anni ed ancora è presto perché apprezzi la Divina Commedia ma sicuramente è questa l’opera che sento più vicina al mio essere: è stata scritta nella mia terra, era molto innovativa al tempo perché per la prima volta si scriveva un’opera letteraria importante in volgare invece che in latino. Questo volle dire poterla comunicare a tutti. Quest’aspetto lo tengo sempre presente: parlare con le persone vuol dire parlare la loro lingua cioè quella che possono capire e comprendere.

Oltre a ciò mi piace che Dante scriva questa incredibile opera non solo per amore di una donna ma anche per amore per la sua città e tutti i suoi abitanti.

Egli analizza le persone che incontra ma sa di non essere privo di difetti infatti ha bisogno di aiuto (Virgilio). Io credo nel lavoro di squadra.

La Divina Commedia è un insieme di storie e di sentimenti, è allo stesso tempo condanna e perdono, voglia di fare e dubbi sulla possibilità di riuscirci, voci di persone comuni e di prìncipi. E’ vita e morte. Rappresenta il nostro essere, ci spinge a fare il meglio che possiamo. Facciamo errori, ma cerchiamo di correggerli e di non commettere gli stessi nell’amara certezza di commetterne di nuovi ma con la grande speranza di poterli correggere anch’essi. Le aziende, l’amore, la vita sono questo: agisci, sbagli, correggi, ricominci, tendi alla perfezione che probabilmente non raggiungerai mai, ma tendi sempre ad essa, perché tuo figlio non giudicherà i tuoi errori ma l’intento che avevi quando li hai commessi.