Le interviste di B&P: Dottor Alberto Nobis, Amministratore Delegato di DHL Express Italy

Assieme al dottor Alberto Nobis, Amministratore Delegato di DHL Express Italy, iniziamo l’iter di interviste del 2016.

Nato a Mantova nel 1965, laureato in Economia presso l’Università degli studi di Bologna, inizia la propria carriera nel settore bancario. Nel 1994 entra in H.J. Heinz Company ricoprendo diversi ruoli in ambito Finance, prima in Italia (Plasmon) e successivamente negli USA e in Gran Bretagna. Nel 2006 entra in DHL Express Italy come Cfo; nel 2008 è nominato Cfo di DHL Express Europe presso il quartier generale di Bruxelles; nel 2009 ricopre il ruolo di Cfo a livello globale a Bonn. Nel 2013 è nominato Amministratore Delegato di DHL Express Italy.

Accanto a questo importante percorso professionale, il dottor Nobis vanta anche un prestigioso trascorso (1985-1991) nel mondo della pallavolo in A2 e A1: in particolare nella stagione 1989-1990 fece parte della straordinaria squadra di Modena, pietra miliare della pallavolo italiana.

Al dottor Nobis, a cui siamo legati da una lunga amicizia, abbiamo chiesto la disponibilità di far parte delle “voci” di B&P. Accolto il nostro invito con grande interesse, in un giorno di aprile soleggiato e piacevolmente ventilato abbiamo inforcato la bicicletta, pedalando per alcuni chilometri lungo il Naviglio Pavese e raggiungendolo così presso i suoi uffici ad Assago.

L’intervista raccoglie esperienze, considerazioni e riflessioni maturate nel corso di una carriera di respiro fortemente internazionale, difficili da sintetizzare se non a scapito di perderne ricchezza e profondità. Non vogliamo pertanto togliere spazio ad una stimolante lettura: desideriamo solo indicare alcuni spunti che ci hanno particolarmente colpito. Così ad esempio, il concetto di “rispetto per la persona”, l’importanza e la forza dell’esempio, il considerare l’errore (in buona fede) occasione per migliorarsi, il non prendersi troppo sul serio, l’essere consapevoli che anche nella vita lavorativa bisogna non solo “ricevere” ma anche “restituire”.

Nobis considera la centralità della persona come l’asse portante delle realtà organizzative con le sue potenzialità da scoprire e sviluppare, la ricchezza dei suoi valori, la costruttiva dinamica del rapportarsi con gli altri. Abbiamo così introdotto l’intervista con la Danza di Henry Matisse, in cui le cinque figure, delineate con pochi tratti essenziali, si muovono in uno spazio non definito leggere e libere, comunicando la gioia di vivere e di stare assieme. Queste sensazioni sono espresse attraverso i colori che costituiscono l’elemento dominante del dipinto: il colore caldo delle figure avanza con forza rispetto al blu e al verde dello sfondo e sembra quasi sottolineare l’energia positiva espressa dal loro movimento. Non a caso per Matisse la danza rappresenta il simbolo dell’armonia del cosmo e del gioioso rapporto che lega gli uomini tra di loro e alla natura.

Ma lasciamo spazio all’intervista.

Partiamo da un mondo a te caro, dalla pallavolo. Dal campionato 2015-2016 DHL Express Italy è infatti sponsor della squadra del Modena Volley, in cui hai giocato negli anni passati per una stagione e che sta dando grandi soddisfazioni avendo vinto Coppa Italia, Super Coppa e Campionato Italiano  (dodicesimo scudetto nella sua storia). Nel corso della conferenza stampa di presentazione di DHL Express Italy in qualità di nuovo sponsor del Modena Volley avevi sottolineato che “soprattutto al Modena Volley ci accomunano valori fondamentali quali il rispetto, la trasparenza, l’eccellenza e lo spirito di gruppo”. In base alla tua esperienza come si declinano questi valori nella vita lavorativa quotidiana? Ci sono differenze tra il “mondo dello sport” ed il “mondo aziendale”?

Sono convinto che i valori siano la linfa del lavoro quotidiano e dello stare assieme in azienda: non sono concetti astratti. Nella mia esperienza, in particolare nell’ attuale incarico, penso che il rispetto della persona sia il valore centrale, quello che è poi alla base della motivazione delle persone. DHL Express Italy è un’azienda di servizi, cioè un nucleo di persone che fanno cose per altre persone. Si tratta di un business molto transazionale – un insieme quindi di attività e di azioni ripetute centinaia di migliaia di volte ogni giorno – e queste transazioni con il mercato sono eseguite dai miei colleghi interagendo direttamente con gli utilizzatori finali in un contesto aperto e mutevole. Ciò impone la necessità di trovare un equilibrio nell’ erogazione del servizio fra procedure standardizzate e relativi controlli e il libero contributo del singolo, che può garantire flessibilità e adattabilità alle specificità dei mutevoli bisogni del cliente. Ciò è ben diverso da quanto succede nel mondo manifatturiero dove il valore aggiunto del prodotto viene realizzato e percepito dall’utilizzatore finale anche attraverso la trasformazione della materia. Perciò nell’industria dei servizi è quanto mai importante curare la motivazione delle persone e le loro abilità nel ricercare l’eccellenza, che per me significa “divertirsi” nel trovare soluzioni a problemi sempre diversi. Per quanto poi attiene ai valori che si ritrovano nello sport e in azienda penso che possano essere anche simili, ma vi è una differenza di fondo: le organizzazioni sportive, soprattutto quelle di lunga e prestigiosa storia, sono fatte di tante squadre o di atleti singoli che si susseguono anche rapidamente nel tempo. In DHL Express Italy, presente in Italia dal 1978, vi sono parecchie persone che sono in azienda dalla data di costituzione e, in ogni caso, l’anzianità media supera oggi 20 anni: è evidente che la declinazione dei valori non possa che essere diversa.

Nella tua carriera lavorativa hai fatto diverse esperienze all’ estero con il gruppo Heinz negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e successivamente con DHL in Germania. Quanto ed in che modo queste esperienze sono state formative sotto il profilo professionale e personale e cosa ti hanno lasciato?

Le esperienze maturate all’ estero hanno contato molto per me sotto diversi profili. Io sono nato e vissuto per diversi anni a Mantova, splendida città d’ arte e di cultura, dove cognome e natali sono in diversi casi dei “trampolini” di lancio importanti per la propria carriera. Da un lato l’esperienza internazionale mi ha fatto invece e fortunatamente toccare con mano l’importanza del merito della singola persona, dall’altro mi ha messo nelle condizioni, talora faticose ma sempre ricche di stimoli, di confrontarmi con culture, stili di vita, dinamiche relazionali, articolazioni del pensiero molto diverse tra di loro. Nell’affermare l’importanza di questo “vissuto internazionale”, si tende talora a trascurare gli aspetti positivi della cultura manageriale italiana: vorrei qui spezzare una lancia a favore del nostro paese. Nella mia vita professionale ho spesso apprezzato infatti la mancanza di paura da parte di manager italiani nel voler coniugare tra di loro in modo costruttivo e proficuo aspetti razionali e dimensioni emotive. Sono convinto che “cervello, cuore e pancia” possano essere dei preziosi alleati in un mondo sempre meno prevedibile, dinamico e veloce sino all’esasperazione, poco codificabile, ma nel contempo affascinante.

Tu hai lavorato in due grandi Gruppi internazionali, Heinz americano e DHL tedesco, diversi per storia, tipologia del business, struttura della compagine azionaria, cultura. Umberto Eco scriveva che “ogni cultura assimila elementi di culture vicine o lontane, ma poi si caratterizza per il modo in cui li fa propri”. Ti ritrovi in questa affermazione? Quanto l’Amministratore Delegato di una società facente parte di un gruppo multinazionale può incidere sulla cultura aziendale?

Sono d’accordo con Umberto Eco, in quanto le sue parole fanno da corollario al mio vissuto. E’ noto che la cultura americana sia frutto dell’assimilazione di tante culture, ma anche la Germania è una specie di “melting pot”, in cui convivono elementi della cultura tipicamente tedesca, con quella latina, e più recentemente con quella turca e balcanica. Tuttavia la situazione americana è molto diversa da quella tedesca: in Germania ogni città è diversa. Ad esempio le città di Colonia e di Bonn, separate da pochi chilometri, sono molto differenti tra di loro: Colonia infatti è molto “latina” e gli abitanti si considerano gli eredi dei Romani. Ciò detto, Stati Uniti e Germania hanno adottato schemi similari, definendo un quadro di riferimento codificato di “convivenza”, cosa che non ho trovato nella mia esperienza in Italia. Angela Merkel, dopo i fatti di Bruxelles, ha varato un programma federale con il quale le minoranze verranno inserite all’interno di strutture abitative attraverso uno schema prestabilito e pianificato, al fine di evitare concentrazioni non equilibrate. Non penso che in Italia arriveremo a tanto ed in ogni caso non è detto a priori che uno schema strutturato con obiettivi chiari e forme consolidate di controllo sia di per sé fonte di successo. Ritengo infine – e vengo così alla seconda parte della domanda – che l’Amministratore Delegato di una consociata possa influenzare la cultura della Casa Madre, sempreché quest’ultima voglia dargli ascolto. Al riguardo, faccio due esempi. Plasmon, società del gruppo Heinz, fu guidata per molti anni da Luigi Ribolla, manager e persona di grande valore. Quando mi trasferii a Pittsburgh, nell’ headquarter di Heinz, ritrovai tanti riferimenti alle idee, alla storia ed alla personalità di Luigi Ribolla, che contribuirono al consolidamento della cultura di questo gruppo multinazionale. Nel Gruppo Deutsche Post-DHL l’attuale CEO della divisione Express, Ken Allen, ha indubbiamente influito, ad esempio, sulla definizione e sulla diffusione del concetto di “devozione” che i dirigenti devono dimostrare nei confronti di tutti i propri collaboratori, concetto mutuato dalle sue precedenti esperienze in Medio Oriente e in Asia.

Prima di ricoprire il ruolo di numero uno, hai ricoperto posizioni di crescente responsabilità prima nell’ area finance a livello locale e poi di headquarter. Nel 2013 è arrivata la nomina ad Amministratore Delegato di DHL Express Italy: da Bonn ad Assago no stop. Come sei stato preparato e come ti sei preparato a ricoprire questo ruolo? Come definiresti il tuo stile di leadership?

Ritengo che la nomina ad Amministratore Delegato di DHL Express Italy sia stata frutto non tanto di uno strutturato e rigoroso processo di assessment, ma di una” valutazione condivisa” con il Board riguardo alla mia persona e alle mie aspettative: una specie di sonata a … quattro mani. In DHL Express ho ricoperto inizialmente ruoli di natura specialistica nelle aree amministrazione, finanza e controllo sino ad assumere il ruolo di Cfo. Sono stato però sempre attratto dal capire il business e in generale il funzionamento della “macchina” aziendale. Potrei dire che DHL Express – che in ogni caso mi conosceva bene – ha assecondato la mia vocazione e la mia passione. Al riguardo non credo tanto nei modelli deterministici: credo innanzitutto nelle capacità che ciascuno ha di incidere sul proprio futuro (faber est suae quisque fortunae, di lontana memoria). Su cosa si basa il mio stile di leadership? Innanzitutto sul dare l’esempio. E’ più importante ciò che faccio che non quello che dico: non a caso trascorro il 70% del mio tempo vicino alle persone che con diversi ruoli e responsabilità operano all’interno di DHL. In secondo luogo sull’essere rispettoso ed inclusivo. Non penso di essere un capo semplice, sono una persona caparbia, cerco sempre di creare attorno a me una squadra forte. Per tornare all’ immagine della pallavolo, penso che l’Amministratore Delegato sia lo schiacciatore, colui che “mette giù la palla”, al quale la squadra si rivolge nei momenti topici di una partita. In terzo luogo, penso che il mio stile di leadership si basi sulla consapevolezza del valore aggiunto espresso dal lavorare in gruppo, al cui interno devono essere sempre rispettate da tutti la serenità nell’esprimere le proprie opinioni e la confidenza di poterlo fare anche nei momenti aziendali più difficili e tesi. Alla fine, si ritorna al rispetto della persona.

“If you’re not failing every now and again, it’s a sign you’re not doing anything very innovative”: Woody Allen con l’arguzia e l’ironia che lo caratterizzano mette in evidenza il difficile rapporto tra l’innovazione e la possibilità di sbagliare. Tu come ti poni di fronte a questo problema? Ritieni che si possa legittimamente parlare di innovazione anche su temi di sviluppo organizzativo e di gestione delle risorse umane? E se sì, come?

Contrariamente a quello che pensavo, ho trovato l’ambiente aziendale tedesco più disponibile rispetto ad altri contesti ad accettare il rischio. In DHL Express non solo si incentiva il management nell’assumersi a pieno le proprie responsabilità ma si tollera anche l’errore (chiaramente quello fatto in buona fede): se così non fosse non ci sarebbe del resto azienda. Negli ultimi tre anni lo sforzo maggiore è stato quello di trasformare l’errore in opportunità. Non vorrei essere percepito come provocatore se dico che oggi in DHL Express l’errore è considerato un “dono”. DHL Express a livello di Gruppo sta seguendo un programma che si basa sul protocollo del c. d. Net Promoter Score, cioè sulla misurazione del livello di soddisfazione del cliente, portando così la sua voce in azienda. Ci si focalizza in particolare sui nostri “detrattori” e si cerca di capire le nostre negatività. Non c’è nulla di culturale in ciò, bensì approccio sistematico e metodo: una specie di processo di trasformazione manifatturiera che fa sì che l’esperienza negativa divenga un momento di apprendimento. Non sono preoccupato dell’errore quanto piuttosto di quello che definisco la “presa in giro”, ricercare cioè il solo tornaconto personale, dimenticando che è sulle spalle di tutti, in primis del sottoscritto, il fatto che ci siano oltre 5.000 collaboratori con le rispettive famiglie e 70.000 clienti serviti giornalmente: un ecosistema fatto di migliaia di persone che dipende dalle nostre azioni quotidiane. DHL Express – e vengo così alla parte finale della domanda – ha cercato con successo di innovare negli ultimi anni sul fronte dell’organizzazione, agendo non tanto su una serie di metodologie note e diffuse ( ad esempio Six Sigma e PDCA) che ormai non hanno più un carattere di distintività competitiva, bensì sulle potenzialità e sulle capacità delle persone, mettendo in essere assetti organizzativi ad hoc e processi decisionali coerenti con la nostra identità e tali da valorizzare la nostra originalità. 

«Non vorrei apparire presuntuoso. Io ho avuto tanto da questo ambiente dal punto di vista umano e anche da quello professionale ed è per questo che ho spinto per puntare su Modena. Volevo “restituire” qualcosa. Ma questo ambiente secondo me si è un po’ chiuso in se stesso. E’ molto autoreferenziale, non si è aperto alla curiosità. E, io lo vedo bene nel mondo degli affari, se non ti confronti rischi di non migliorare». Così’ rispondevi ad una domanda in una intervista apparsa il 9 febbraio su La Gazzetta dello Sport. Anche in azienda si può “restituire” qualcosa? Quali sono gli antidoti alla autoreferenzialità?

Penso che non solo si possa, ma si debba “restituire”. In primis nei confronti della società: le aziende sono anch’esse attori del cambiamento in quanto possono mettere in essere al loro interno moduli di comportamento virtuosi che informano i comportamenti delle persone che li restituiscono poi a loro volta alla società. Si può anche restituire all’interno dell’azienda: nel mio caso penso di aver restituito in termini di devozione: se da un lato essere a capo di una organizzazione è indubbiamente gratificante, in certi casi anche “divertente”, dall’altro comporta grande impegno e profonda dedizione in quanto il ruolo che mi è stato affidato influenza per una quota parte il destino delle persone che lavorano in azienda. Ad esempio ritengo che una modalità di restituzione sia quella di impegnarsi a dare in azienda il massimo delle proprie energie fisiche e psichiche, a cui fa da corollario il fatto che l’azienda rispetti il diritto-dovere delle persone a ritagliarsi i propri spazi di riposo, usufruendo così in modo sistematico del periodo di ferie. Infine un’altra modalità di restituzione è quella di comportarsi in modo integro ed equo e di essere coscienti della responsabilità di essere di esempio per gli altri. Per quanto riguarda l’autoreferenzialità, partirei da una rapida, anche se non sofisticata, definizione: sostenere di essere bravi unicamente sulla base delle proprie valutazioni, supportate spesso da strumentazioni o metodologie che si concentrano solo su parametri interni. In questo caso, il primo antidoto è quello di portare in azienda la voce del cliente. Il secondo è di non prendersi troppo sul serio: un sano scetticismo nei confronti di se stessi non guasta. Il terzo è di circondarsi di collaboratori che ti facciano prendere coscienza di essere un… umano.

Vorremo concludere questa intervista, raccogliendo i contributi di due straordinari personaggi non certo vicini al mondo aziendale: Albert Einstein e Michelangelo Buonarroti. Il primo così scriveva “Tre sono le regole principali del mondo del lavoro: dal disordine e dalla confusione cercate di tirare fuori la semplicità; nei contrasti ricercate l’ironia e, infine, ricordate che l’opportunità risiede proprio nel bel mezzo delle difficoltà”. Il secondo:” Il più grande pericolo per noi non è che miriamo troppo in alto e non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo ma che miriamo troppo in basso e lo raggiungiamo”. Quali riflessioni ti portano a fare queste frasi?

Negli anni ’90, l’esercito USA che stava accingendosi ad intervenire in zone poco conosciute, conscio degli errori commessi nel passato, aveva coniato l’acronimo VUCA (Volatiliy Uncertainty Complexity Ambiguity) per definire il contesto esterno. Questo è anche il mondo in cui oggi viviamo e trovo le parole di Albert Einstein straordinariamente appropriate: ironia, semplicità nel trovare le giuste soluzioni ed acume nel capire che un momento di difficoltà può tramutarsi in opportunità sono dei preziosi compagni di viaggio. Da un artefice poi del Rinascimento e dell’Umanesimo quale Michelangelo Buonarroti non si potevano attendere che parole sfidanti e di grande profondità. L’uomo possiede infinite risorse: chi ha famiglia sa che una delle cose più preziose che si possa regalare ai figli è il credere fortemente in sé stessi e nel fatto che non ci siano limiti. Nelle aziende si riscontra spesso la tendenza ad autolimitarsi e a porre dei freni. Nel corso della mia carriera mi sono battuto perché il budget fosse semplice e “corto” nella sua struttura: un budget non negoziabile ma assegnato, non il risultato di un approccio democratico, ma direttivo nella sua essenza, la cui ratio si basasse non solo sui numeri ma soprattutto sul rispetto e sulla fiducia reciproca tra le persone. Rispetto non significa essere buoni, bensì trasparenti ed equi nei confronti dei collaboratori, degli azionisti e dei clienti. Sono certo che i brillanti risultati ottenuti da DHL Express siano soprattutto la conseguenza di aver messo al centro del nostro business e del nostro lavoro la persona, anzi la Persona.